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Poggio Carlotta

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L’ultimo sole di una calda estate

Abbraccia il fienile

Teneri raggi

entrano dalle fessure

dei perfetti mattoni in filari

Riscaldano il dimenticato fieno di una mietitura antica

Dalle travi, pendono

sfilacciate

corde senza forza

La macchina del segato

morta nella sua rigidità di ruggine

Una scala appoggiata in fondo

aspetta

Un topo mi guarda stupito

Per terra pannocchie sdentate di granoturco

In un angolo vecchie bottiglie

Vinsanto , Marsala, vermut

ricordi di bicchierini satinati

Chiodi infilati nell’intonaco tenero

Chiodi infilati nelle travi possenti

Date sui muri scritte a carbone

Strani segni

Numeri romani

Raccontano di pazienti chiocce e instancabili vacche

Nomi recenti di un fugace amore

Fuori il vento

minaccia le deboli foglie di un mandorlo malato

si insinua tra le spine attente del giuggiolo

scuote i piccoli fichi ormai bastardi

Spettina il lungo paleo che copre la terra

Il pozzo sonnecchia con il suo bordo lacero

i vaghi ricordi di corde e catene

la malinconia di giovani visi

che di giorno si specchiavano nella sua anima limpida

il sole non abbraccia la grande casa

il suo lato a bacio di rado riscalda

Un rovo tenace e scontroso

Mi regge da dietro e mi frena

Il bisogno di ricordi prevale

La debole porta si apre

Nel buio dell’androne il forno mi saluta

E quasi con pudore e vergogna

Mi parla di giovani donne di vecchie e fanciulli

Festanti allo sforno del pane

Alle spalle la stalla

Muri pregni di muggiti lamenti resie

stupita nella nicchia

persa del suo primitivo spirito

l’effigie di s. antonio mi guarda

in cima alle scale consumate

la buca e la bieca lisciva

che ancora il naso col suo odore pervade

la grande cucina dal pavimento crollato

ha l’eco di povere cene

mamme babbi fratelli cugini ad ascoltare

l’allora importanza dei vecchi

appoggiato alla parete

il camino

orfano di tante storie d’amore di vita di morte

soffre in silenzio pensando alle vecchie di casa

che sotto di esso trovavan rifugio

prima di cedere il posto al sonnacchioso barbagianni

padrone di ora

camere con travi spezzate

camere con pavimenti corrotti

decorate di verde di rosa

con fregi e balze di mani tremanti

riempiono i muri della grande casa

la fame di ricordi è placata

scendo la scale

mi chiudo alle spalle la porta

mi giro e guardo la casa

è l’ultima volta

arriveranno le ruspe

la storia del suo ventre che ha dato la vita

ha cresciuto speranze non conta

non conta se ha dato riparo

da lei son partiti tanti soldati per le guerre dei ricchi

a lei son tornate tante braccia per il lusso dei ricchi

di lei ora sol contano i metri

e la pergola dai grappoli secchi aggrappata sul davanti

verrà cancellata agli occhi di chi vuol ricordare

insieme all’intonaco color verde rame.

 

 

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